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martedì 19 marzo 2013

Dalla vicina Mendrisio: per un moderno concetto di cittadinanza

Rino Lattuada
20.03.2013


L’aggregazione è un’opportunità, un mezzo non un fine, dagli esiti incerti: essa può contribuire a migliorare la vita dei cittadini e il loro ambiente, grazie a maggiori risorse finanziarie e umane, offrendo servizi più efficienti con personale qualificato, ma può anche contribuire a svuotare di senso i Comuni esistenti, trasformandoli in quartieri periferici, poveri di vita interna, di senso di appartenenza, di relazioni umane, indebolendo il significato di cittadinanza. 

Se il senso di appartenenza è fortemente legato al territorio, la gestione di quest’ultimo riflette i rapporti di potere esistenti. A Mendrisio la forza e gli intrecci del potere economico hanno messo “le mani sulla città” (per parafrasare un titolo di F. Rosi) e costretto quello politico a marciare a rimorchio delle trasformazioni, legittimando situazioni compromesse; la disordinata crescita nella zona dello svincolo autostradale comporta ed avrà per l’intera collettività costi finanziari e ambientali elevatissimi. Ciò può generare smarrimento nel cittadino e addirittura sfiducia nelle capacità delle istituzioni di assicurare un quadro di vita a misura d’uomo; non sorprendono quindi manifestazioni di scetticismo di fronte all’aggregazione e alla politica stessa.

Fatta questa premessa, considerato che il processo di aggregazione è comunque in atto e che presumibilmente si allargherà, cerchiamo di valutarne il significato nell’ottica dell’identità collettiva e di una moderna cittadinanza. L’identità collettiva va costruita in senso positivo: non come ripiegamento individuale o di gruppo su se stessi di fronte alla rapida trasformazione sociale, ma come affermazione di una comunità con solide radici culturali, consapevole della propria specificità in una realtà globalizzata e policentrica, decisa ad affermare i propri diritti attraverso ambiziosi progetti per il benessere dei suoi membri. 

Un benessere che presuppone innanzitutto la soddisfazione di alcuni bisogni fondamentali, pena l’emarginazione e la paura: lavoro e reddito dignitosi, qualità dell’ambiente e dell’alloggio, accesso a servizi indispensabili per la salute, la formazione, la cultura, lo svago.  Questo comune sentimento di appartenenza, oltre che dalla conoscenza e dalla cura del territorio, è segnato dalle nostre relazioni sociali, alimentate dalla presenza di istituzioni locali che permettono di realizzare una democrazia partecipativa, oltre che da un tessuto di associazioni a cui possiamo accedere nel tempo libero. E’ questo un patrimonio radicato nella nostra realtà, che occorre valorizzare, offrendogli i necessari supporti logistici e finanziari, distribuiti però in modo razionale: pensiamo alla pianificazione di infrastrutture costose, sia nella costruzione sia nella loro manutenzione, come lo sono centri sportivi e polivalenti, ma anche alla necessaria riappropriazione sociale di vecchi edifici pubblici, all’accesso a parchi, spazi di gioco, centri di ritrovo per giovani e anziani. Essi devono d’altra parte essere collegati da un’efficace rete di trasporti collettivi, offrendo a tutti gli abitanti dei Paesi aggregati pari opportunità d’accesso. 

L’integrazione tra le diverse componenti del tessuto sociale, in cui gli uni possano ancora essere un utile supporto per gli altri, è un ulteriore aspetto da consolidare: ciò significa rafforzare la coesione sociale tra generazioni, tra persone autosufficienti e dipendenti, tra cittadini svizzeri e stranieri, in modo che la differenza diventi un valore riconosciuto, un arricchimento, un’occasione di scambio di esperienze e sensibilità e non una penalizzazione, che spesso si somma alla disparità sociale.

Il concetto di cittadinanza ha conosciuto nella nostra cultura politica un’evoluzione nel tempo. Ai classici diritti fondamentali risalenti alla rivoluzione francese (libertà, uguaglianza giuridica e politica), si sono affiancati i diritti sociali (lavoro, vacanze pagate, alloggio, istruzione, assistenza sanitaria e sociale, fondati sul principio delle pari opportunità) nell’ambito di un’arricchita amministrazione di prestazione, in cui il fruitore è concepito come un cliente dotato di carte di servizi a cui può ricorrere di fronte ad eventuali disfunzioni dell’offerta. Nell’ultimo scorcio del XX secolo si è poi affermata una terza generazione di diritti (riservatezza, identità, tutela del proprio corpo e dell’ambiente). Se nella gestione pubblica si sono sanciti principi quali trasparenza, efficacia, economicità, ai cittadini sono stati assicurati il diritto all’informazione e alla consultazione (pensiamo alle procedure pianificatorie). 

Un livello più ambizioso di partecipazione politica, codificato recentemente in certi Stati, è quello che il prof. Gregorio Arena definisce come cittadinanza attiva, in cui “le istituzioni debbono favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di benessere generale” (Cittadini attivi, Roma, 2006). Essa legittima i cittadini ad uscire dal ruolo passivo di utenti dei servizi pubblici per diventare soggetti attivi che si prendono cura, insieme con le amministrazioni, di beni comuni quali il territorio, l’ambiente, l’acqua, l’aria, la sicurezza delle persone e delle infrastrutture, i rapporti sociali, il rispetto della legalità, la salute, l’istruzione, i beni culturali, il cui arricchimento arricchisce tutti (ovvero è nell’interesse generale), così come il loro impoverimento equivale ad un impoverimento di tutta la società. Attraverso il moderno concetto di “cittadinanza attiva” avviene un passo ulteriore nella relazione tra amministrazione e cittadinanza, volto a superare il rapporto bipolare e gerarchico tra amministratori e amministrati, tra chi si occupa del bene pubblico e chi si dedica ai propri affari.

Si tratta di un paradigma pluralista e paritario, che parte dalla constatazione della complessità dei problemi della società odierna, dell’impossibilità da parte delle istituzioni pubbliche di affrontarli da sole e degli elevatissimi costi per la loro soluzione. E’ questo un modello di amministrazione condivisa, fondato sul principio di sussidiarietà orizzontale e di collaborazione, che si realizza allorché “i cittadini si attivano autonomamente dando vita ad iniziative di interesse generale, che le istituzioni sono tenute a sostenere, facilitare ed integrare nelle loro politiche”, facendo leva sugli interessi anziché sul potere di costrizione. 

Una lettura riduttiva potrebbe intravedere in questa proposta un possibile disimpegno dello Stato a favore del privato. Al contrario, essa implica l’affermazione di una reciproca responsabilità e collaborazione, un’alleanza tra cittadini e amministrazione per affrontare assieme la cura dei beni comuni, una convergenza di forze attorno a progetti in cui interessi individuali e generali convergono. Ciò non significa quindi diminuire le risorse pubbliche, ma potenziarle con quelle private per garantire una continua “manutenzione del Paese”, in un rapporto tra soggetti autonomi, in cui ognuno mantiene precise responsabilità, ruoli e competenze. Non si tratta, insomma, di spendere di più o di meno, ma meglio. Per la moderna amministrazione ciò implica saper ascoltare, coinvolgere, motivare, comunicare (e non solo informare), valorizzare a favore della collettività risorse private (individuali e di imprese presenti sul territorio, con il loro bagaglio di risorse tecniche e umane), che altrimenti rimarrebbero inutilizzate. 

Insieme a Sinistra – Un bene chiamato Comune

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