15.09.2013
Un articolo comparso su Il manifesto del 10.01.2008, ma che dopo più di cinque anni, mantiene benissimo la sua freschezza e le tante verità ancor oggi attualissime ...
a cura Salvatore Palidda
E’ un ottima descrizione di come si manifesta il razzismo
fra immigrati. In effetti, tale fenomeno si è sempre riprodotto in tutti i
contesti e fra tutte le componenti delle migrazioni (l'etnicizzazione nei paesi
anglosassoni e in particolare negli Stati Uniti s"è sempre alimentata
della competizione fra immigrati; tanti "vecchi” immigrati inclusi in
Francia sono diventati lepenisti così come tanti terroni del nord e del sud
integrati nella Padania sono diventati leghisti e ora lo diventano anche i
“riusciti” fra immigrati stranieri). Oggi non fa che riproporsi per adattamento
al contesto neoliberale dei meccanismi di gerarchizzazione nell’inclusione ed
esclusione producendo anche sia il “caporale etnico” o il leader
etnico-religioso, sia l’“eccedente umano”, cioè chi on riesce ad adattarsi o si
rivolta ... Insomma il neoliberalismo si nutre del razzismo (by Palidda)
In questi momenti di spettacolare rialzamento dei razzismi
in tutta Europa, gli immigrati vivono situazioni di grande disagio. Ultima,
anche la solitamente pacata Svizzera sta tendendo l'orecchio alle sirene
xenofobe del partito dell'Unione democratica di centro. Il dibattito è acceso e
i toni sono alti. Le maggioranze sembrano impazzite e cercano le chiavi dei
loro problemi nella presenza di una qualsiasi minoranza sul loro territorio. Ma
la cosa di cui si parla meno, che sembra paradossale ma che è invece del tutto
normale, è la salita dell'intolleranza anche interna alle popolazioni
immigrate. La situazione è delle più inquietanti: romeni e esteuropei che
odiano sempre di più i rom. (Pubblicato nel 2005 sul blog intitolato «I romeni
in occidente», tenuto da immigrati romeni a Torino. Copiato tale quale).
Marocchini che odiano sempre di più i romeni arrivando fino
a parlare di invasione. Immigrati «regolari» che chiamano a reprimere
l'immigrazione clandestina, facendo finta di non essere mai passati da lì. E
infine immigrati benestanti e professionalmente ben inseriti che disprezzano la
«feccia» proveniente dai loro paesi e chiedono un'immigrazione selettiva.
«Serve un'immigrazione selettiva. Che non è una lotteria, ma una programmazione
stabilita in base alle esigenze di ogni settore dell'economia». A proporre
questa ricetta non è un politico in cerca di soluzioni più o meno popolari, ma
un giovane camerunese, laureato in farmacia, da anni nel Ferrarese. E che
l'immigrazione l'ha vissuta sulla sua pelle. E' dunque senza tabù che parla di
«selezione» e «reclutamento» di stranieri. Ma avverte: «A differenza di altri
Paesi, l'Italia non ha ancora capito i vantaggi che può trarre dagli immigrati
e continua a sfruttarli solo come manodopera a basso costo. («La nuova
Ferrara», 16 maggio 2005).
Maria è una bambina peruviana che, all'epoca in cui accadde
questo evento, aveva 8 anni. Era appena arrivata in Italia con la mamma a
raggiungere il papà già residente in Italia da vari anni. Maria è stata
iscritta in terza elementare. Come lei anche Mahmoud, un bambino marocchino
fresco arrivato da Khouribga. Solo che Mahmoud non essendo di lingua neolatina,
è stato iscritto in seconda elementare e segue, fin dal suo arrivo, delle
attività di dopo scuola in un'associazione del quartiere San Salvario a Torino,
per imparare meglio l'italiano. Maria invece arriva in associazione un po' più
tardi, su consiglio delle sue maestre. Quel giorno, ero lì nella sede
dell'associazione a dare una mano. Sostituivo la ragazza che di solito si
occupa del dopo scuola. Mentre i pochi bambini presenti erano impegnati a
scrivere un compitino che gli avevo dato. Ecco che arriva Maria accompagnata
dal papà.
L'uomo, sui 40 anni, mi racconta un po' della sua vita prima
di lasciarmi la piccola. Operaio edile, vive in Italia da più di 5 anni.
Finalmente regolarizzato da un anno, ecco che è riuscito a portare in Italia
anche la moglie e la figlia Maria che ha lasciato nella culla e che, adesso, è
una bella signorina. Maria sta imparando l'italiano molto in fretta. Solo che,
siccome fa un po' fatica a seguire tutto in classe, la maestra gli aveva
consigliato di iscriverla in un'attività di sostegno. Dopo avermi affidato la
figlia e averle raccomandato di fare la brava, il signor José, ci saluta e ci
lascia «lavorare in pace».
Partito il papà, Maria mi segue dentro l'aula. Io la porto
verso il primo posto libero, accanto a Mahmoud. Ma prima di farla sedere la
presento al gruppo, poi presento il gruppo a lei. Stella dalla Cina, Samir dal
Marocco, Stefan Slovacchia e Mahmoud Marocco. Ma Maria rifiuta di sedersi. Io,
allarmato, penso che era un po' spaventata perché il papà l'aveva lasciata da
sola. Allora provai a capire cosa avesse. Ma lei continuò a ripetere soltanto
«no... no...». Allora la portai in disparte e le chiesi perché non voleva
sedersi e lei mi rispose: «Non lì!». E io: «Ma perché non lì?». E lei: «Perché
lui è marocchino e mio papà non vuole. Dice che i marocchini fanno schifo...».
«Schifo?».
Il signor José di Lima mi è sembrato un tipo piuttosto
simpatico. Bravo papà, bravo lavoratore, molto apprezzato dal suo datore di
lavoro che l'ha sfruttato in nero per quattro anni prima di metterlo in regola.
José che ha visto e vissuto chi sa quante umiliazioni, che ha tenuto dentro chi
sa quante ferite... Il signor José serve questi discorsi «educativi» alla sua
figlia! Allora sono andato a rileggere Ghandi applicandolo alle piccole ferite
quotidiane, agli sguardi diffidenti sul tram, alle signore che stringono la
loro borsetta quando le stai vicino, ai colleghi operai edili (forse terroni
disprezzati dai piemontesi e sfruttati da un terrone emigrato un po' prima di
loro) che ti lanciano delle battute di cattivo gusto, o che ti chiamano
«Geronimo» solo perché hai il tipo indios...
Non hai coscienza dei meccanismi dell'ingiustizia che tu
subisci. Non capisci che tu sei vittima della vittima di un'altra vittima...
che in questo mondo siamo tutti vittima di qualcosa fin che accettiamo il ruolo
di vittima. Allora cosa fai? Ti comporti da vittima e ti cerchi un altro per
scaricare su di lui tutte le tue sofferenze. Tu sei una vittima, e in quanto
vittima sei anche innocente, non sei colpevole di nulla, niente giustifica le
sofferenze imposte a te. Ma soltanto te sei innocente mentre i veri colpevoli
sono altri. Se soffri è colpa di quegli lì! Nessuno gliela fa pagare abbastanza
questa colpa? Allora te ne occupi, te. Ma la storia del signor José del Perù
non è l'unica pensando al razzismo tra immigrati me ne vengono tante altre di
storie. Altro tipo di razzismo è quello dell'immigrato «pervenuto» nei
confronti dei «nuovi sbarcati», di chi ce l'ha fatta nei confronti di chi cerca
ancora di farcela.
Il mio cugino Nasser vive a Losanna da più di 25 anni. Era
arrivato all'epoca in cui non ci voleva visto per venire nei paesi europei. In
Svizzera a quell'epoca c'erano tantissimi lavoratori semi-irregolari, cioè che
lavoravano lì senza avere un permesso di soggiorno, ci abitavano pure, ma ogni
tre mesi dovevano uscire dal territorio per avere un timbro di uscita e poter
al rientro avere un nuovo visto valido per altri tre mesi. Fece anche lui così.
Poi smise di uscire e rientrare e rimase senza documenti nel paese. Con il
tempo, e soprattutto il matrimonio con una svizzera egli si sistemò, lavorò
tantissimo e alla fine poté comprarsi un bel bar ristorante in una via centrale
di Losanna. Un classico!
Un giorno, che ero andato a trovarlo, entrò nel ristorante
un certo signor Michele Divino. Sui volantini che mise sul tavolo il «Di» era
scritto in nero e «Vino» in rosso rubino, perché il nostro amico è negoziante
in vini italiani. Lui e mio cugino si conoscono da sempre e quindi, fatto
l'affare, si misero a tavolo per sorseggiare insieme un buon Montepulciano. Io,
mi aggregai ovviamente, non avendo mai potuto resistere all'appello di un buon
bicchiere. Ma molto velocemente la loro discussione mi tenne un po' perplesso.
Si misero a parlare dei tempi diventati duri, delle troppe tasse e del lavoro
che funziona al rallentatore (discussione preferita di tutti i commercianti del
mondo). Solo che, ad un certo punto, individuarono pure la causa della durezza
dei tempi. «E' colpa di tutti questi immigrati clandestini che rubano,
spacciano e rendono le strade poco sicure la sera. Allora la gente non esce
più, l'economia va male e tutto e tutto...», la perfetta panoplia della
discussione tra due simpatizzanti di estrema destra. Io allora intervengo:
«Scusate ma come proprio voi potete accusare gli immigrati clandestini di tutti
i mali del mondo, quando anche voi siete stati clandestini?».
La loro risposta è stata esattamente quella che mi
aspettavo: «Sì, ma noi siamo venuti qua per lavorare e vedi abbiamo lavorato
duro e adesso contribuiamo ad arricchire questo paese invece di impoverirlo
come questi. Poi noi ce la siamo guadagnata la rispettabilità. L'abbiamo pagata
cara». «Sì, l'avete pagata cara, ma adesso volete farla pagare ancora più cara
ad altri!», pensai tra me. Dicevo che la risposta me l'aspettavo, perché l'ho
sentita tante volte in Italia, quando reagendo alle riflessioni anti-immigrati
di qualche italiano gli buttavo davanti agli occhi o la sua di esperienza, se è
meridionale trasferito a nord o dell'immancabile parente immigrato in altre
terre (Usa, America latina, Germania...). La risposta era sempre: «Ma no! Ma
noi l'abbiamo fatto per lavorare. Poi ci siamo fatti rispettare a forza di
lavoro».
Se c'è proprio una cosa che prova che gli esseri umani sono
tutti uguali, in fondo, è proprio questa nostra convinzione comune di essere
noi i migliori e questa spensieratezza nel far subire all'altro quello che noi
abbiamo vissuto prima sulla propria pelle e che consideriamo nei nostri
confronti invece come una assoluta ingiustizia. Karim Metref è nato in Algeria nel 1967, dopo gli studi in
Scienze dell'educazione ha lavorato per circa dieci anni come insegnante.
Contemporaneamente si è impegnato nella militanza per i diritti culturali dei
berberi e per l'accesso ai diritti democratici nel paese. Il giornalismo e la
scrittura diventano per Karim strumenti per veicolare le sue convinzioni
politiche e le nuove forme di pedagogia che ha contribuito a diffondere come
formatore a partire dal 1998, anno del suo trasferimento in Italia. Ha varie
specializzazioni in educazione alla pace e alla nonviolenza. Vive a Torino,
dove lavora come formatore libero professionista. E' autore di diversi libri su
Islam e Medio Oriente, tra cui «Caravan to Baghdad» (Edizioni Tracce diverse).
(il manifesto 10/1/08)
2 parole su... Salvatore Palidda
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Salvatore
Palidda insegna Sociologia della devianza all’Università di Genova. Ha
condotto ricerche su questioni militari e sulle migrazioni presso l’Ecole des
Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi e il Cnrs francese. Tra gli
esperti regolarmente consultati dall’Ocse, è autore di numerose pubblicazioni
in francese, italiano e altre lingue. Tra quelle recenti ricordiamo “Polizia
Postmoderna, Milano 2000” e “Devianza e vittimizzazione tra i migranti,
“2001”.
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