03.09.2012
Nella cosidetta civile e moderna Unione Europea, si devono vedere ancora queste cose. La storia non ha proprio insegnato nulla? La ragione è che Dusan, Erika e Renata sono bambini rom ... Questo blog sta dalla parte di Renata. Voi?
Classi separate per i rom: l’apartheid scolastico in
Slovacchia
di Riccardo Noury
Oggi comincia il nuovo anno scolastico in Slovacchia. Come
ogni genitore responsabile, Marcela e Peter accompagneranno i loro figli a
scuola nella città di Levoca. Più precisamente, alla scuola elementare
Francisciho nel quartiere di Tehelna. Come già è successo nel 2009 e nel 2011 ad altri due loro
figli, Dusan ed Erika, anche l’altra figlia, Renata, stamattina verrà con ogni
probabilità separata dai suoi coetanei. Dusan lo hanno separato dagli altri alunni in quinta
elementare, Erika alla prima. La ragione è che Dusan, Erika e Renata sono bambini rom. Dopo quattro anni passati insieme ai compagni di classe,
giorni fa Renata si chiedeva il perché di tutto questo:
“Non voglio andare in una classe per soli rom, dove
parleremmo solo romanì e non slovacco e avrei amici solo rom. È importante
avere anche amici che non sono rom e crescere insieme”.
Le parole di Renata suonano molto sensate. Altrettante non
ha saputo trovarne il preside della scuola Francisciho, che l’anno scorso si è
ritrovato di fronte un gruppo di genitori rom, tra cui Marcela e Peter, che gli
chiedevano il motivo per cui avesse istituito una nuova prima
elementare per Erika e altri alunni rom.
In tutta la Slovacchia sono migliaia le bambine e i bambini
rom intrappolati in un sistema educativo di secondo livello, che dispone strutture
e programmi scolastici per soli rom e che vede un numero
sproporzionato di loro collocati in classi differenziali per bambini con
“lieve disabilità mentale”.
Così, sin da piccoli, i rom della Slovacchia apprendono il
destino che li attende da grandi. Lo stato li discrimina proprio mentre
dovrebbe formare le loro menti e le loro coscienze, quando dovrebbe
iniziare a offrire medesime opportunità a tutti. Il loro mondo adolescenziale
è, letteralmente, un mondo a parte, fatto di corridoi, orari,
aule e persino scuole solo per loro, staccati dai coetanei non rom. E
naturalmente di alloggi separati, quartieri o campi, solo per loro. Anche di
questo parla Amnesty International, in questi giorni, al World urban forum di
Napoli.
In Sudafrica si chiamava apartheid, sviluppo separato. Solo
che i rom in Slovacchia e in tutt’Europa non hanno un Mandela che li
rappresenti. In un paese in cui costituiscono dall’8 al 10 per cento della
popolazione, il primo rom al parlamento slovacco è stato eletto solo
quest’anno. Nel 2008, le campagne delle organizzazioni non governative locali e
internazionali per i diritti umani hanno spinto il governo slovacco ad adottare
una nuova legge sulle scuole. In teoria, vieterebbe ogni forma di
discriminazione e proibirebbe la segregazione scolastica.
di quest’anno, è stata adottata la Strategia nazionale
d’integrazione dei rom. In pratica, come dimostra il caso della scuola Francisciho
di Levoca, queste disposizioni sono del tutto ignorate.
Ma c’è di peggio. Il nuovo esecutivo entrato in carica
quest’anno a marzo ha eliminato ogni norma anti-discriminazione e ha adottato
un programma che prevede l’istituzione di scuole elementari separate per le
“comunità emarginate”. Ma i genitori rom non demordono. Grazie al gruppo di
genitori rom di cui fanno parte Marcela e Peter, la scuola Francisciho è
diventata un caso nazionale e internazionale. I media slovacchi ne parlano,
chiedendosi se sia non tanto giusto (perché è palesemente ingiusto) ma utile
per la società che le bimbe e i bimbi rom crescano isolati dai loro coetanei.
Jana, una delle madri rom i cui figli sono vittime
dell’apartheid scolastico, quest’anno è andata a Ginevra, a denunciare la
Slovacchia al Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e
culturali.
Anche se oggi Renata finirà in una classe per soli rom,
Marcela ha le idee chiare:
“Se pensano di avermi sconfitto segregando i miei
bambini, si sbagliano di grosso. Continuerò a combattere per i miei figli e per
i figli degli altri genitori, perché tutti meritano il meglio”.
Questo blog sta dalla parte di Renata. Voi?
Corriere della Sera e Amnesty International – 3 settembre 2012
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